«E’stata un’avventura indimenticabile, che ha segnato la mia vita».
Mons. Slawomir Oder, vicario giudiziale del Tribunale di Appello della diocesi di Roma, ha seguito il processo di beatificazione di papa Giovanni Paolo II di cui è stato il postulatore (la canonizzazione avverrà il primo maggio prossimo):
«Ho avuto la fortuna di stare "vicino" a questa persona straordinaria», racconta a GV che lo ha incontrato a Roma nel suo studio collocato nel sottotetto del terzo piano del palazzo del vicariato di Roma.
Un "loft" molto semplice, che rispecchia la semplicità e la discrezione di mons. Oder, giovane sacerdote polacco, arrivato a Roma negli anni ’80 per completare i suoi studi e poi fermatosi per mettere a servizio della diocesi del Papa la sua competenza in economia ed in diritto ecclesiale.
Mons. Oder cosa ha provato quando gli è stato chiesto di seguire il processo di canonizzazione di papa Wojtyla?
Quando il card. Camillo Ruini, mi affidò questo compito, fui completamente sorpreso, direi scioccato. Non me lo aspettavo per nulla, ma l’ho interpretato come un segno della Provvidenza. Alla trepidazione ed emozione si è subito sostituta una grande gioia. Un’avventura indimenticabile che ha segnato la mia vita. Seguire il processo di una persona così nota a livello mondiale, così grande dal punto di vista spirituale e umano mi ha caricato certamente di una grandissima responsabilità. Certo ha cambiato di molto i ritmi della mia giornata e i miei rapporti con la gente e i mass media, ma mi ha anche dato la fortuna di “stare più vicino” a questo grandissimo sacerdote, prima ancora che pontefice.
Ha sentito la pressione della gente durante il suo lavoro?
Certamente ho sentito questa “pressione” da parte di tantissima gente; ma il processo è andato avanti tranquillamente, come guidato da una mano interiore. Al di là delle date che la stampa periodicamente annunciava, senza però fondamento, il cammino canonico ha seguito i tempi di Dio e il miracolo è arrivato quando Dio stesso lo ha ritenuto giusto. Anche questo è un segno della Sua volontà, del suo guidare la storia degli uomini e quindi anche del processo di beatificazione.
Quale è stato il suo rapporto con papa Wojtyla?
Paradossalmente la sua elezione al soglio di Pietro è stata all’inizio un fattore deterrente per la mia vocazione. Infatti era tale l’entusiasmo in Polonia che non volevo decidere sull’onda di una euforia collettiva. Così mi sono iscritto all’università, al corso di Economia e Commercio, e ho aspettato che si “calmassero” gli eccessi per fare la mia scelta. Così al secondo anno di università sono entrato in seminario e contemporaneamente studiavo nelle due facoltà. Poi il mio trasferimento a Roma al Seminario romano, presso il collegio polacco a completare gli studi di teologia. Qui ho trovato e respirato il vero “clima di cattolicità” della Chiesa, per la provenienza internazionale degli altri studenti e perché Roma, come amava dire papa Giovanni Paolo, “è la pupilla dell’occhio del papa”, da lui tanto seguita e amata. Lui si sentiva veramente il vescovo di Roma e per questo amava incontrare i sacerdoti e le realtà della sua diocesi. Sono stati tanti i momenti di incontro con lui.
C’è qualche episodio che ricorda in modo particolare?
Sono davvero tanti, vorrei ricordare quello accaduto durante una delle festività natalizie, quando tanti studenti tornavano a casa e noi al collegio polacco eravamo rimasti in pochi, così lui, saputolo, ci ha invitato a passare una serata con lui, facendoci respirare e vivere un vero clima familiare e natalizio.
Cosa si porta dentro di questa esperienza, che ha raggiunto un bellissimo traguardo ma che non è ancora finita?
Per certi aspetti l’aver letto e ascoltato tante lettere e testimonianze su papa Wojtyla non mi ha sorpreso più di tanto, nel senso che la sua vita è sempre stata di una trasparenza cristallina, per cui quello che ho letto e saputo durante il processo non ha fatto altro che confermare l’immagine e i lineamenti di una persona come si era vista e mostrata nella realtà.
Potrebbe sintetizzare i caratteri salienti di questo grande pontefice?
Sicuramente la sua trasparenza di vita. Quello che abbiamo visto e conosciuto era proprio lui nella sua verità più profonda. Ancora. La sua profonda spiritualità e fede che lo ha sempre portato ad essere libero. Quella libertà cristiana che gli dava la forza di non aver paura di nessuno uomo. Aveva una capacità di pregare, di ascoltare la voce dello Spirito Santo che lo ha reso un vero uomo di Dio. La sua libertà interiore era ordinata ai valori cristiani, aveva continuamente il riferimento a Cristo. Anche quando parlava al mondo, Dio era sempre il suo punto di partenza e di arrivo.
Dal suo osservatorio privilegiato ci può indicare quale tipo di persone hanno scritto e da che provenienza geografica sono arrivate le lettere, le indicazioni e segnalazioni?
Come è stata la sua missione pastorale, così la gente che ha partecipato al processo, dando il proprio contributo, è stata tantissima. Direi che la provenienza geografica è planetaria, anche se posso dire che moltissime sono arrivate certamente dall’Italia e dalla Polonia, dal resto dell’Europa, ma, per esempio anche dal Messico. L’amore alla persona di Giovanni Paolo è palpabile in tantissimi paesi del mondo. E non solo da cattolici e fedeli. Abbiamo ricevuto tanti scritti anche da persone di altre confessioni cristiane e anche di altre religioni, persino da atei. Insomma anche questa avventura non ha fatto altro che rispecchiare, direi, riprendere e continuare quel rapporto profondo con ogni uomo, che egli ha avuto durante tutta la sua vita.
Michele Trabucco
Tratto da GENTE VENETA, n.14/2011